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È esistito qualcosa di più anni ‘80 dei paninari?

  • Immagine del redattore: patrizia gaboardi
    patrizia gaboardi
  • 2 apr 2024
  • Tempo di lettura: 4 min

I paninari sono considerati una sottocultura urbana che preferisce l’apparire invece che l’essere e che si ritrova nelle paninoteche locali con il sottofondo musicale trasmesso da MTV.



Il termine paninaro inizia ad essere utilizzato verso la fine degli anni Settanta a Milano. Negli anni Ottanta, poi, il fenomeno si diffuse rapidamente oltre la Lombardia, coinvolgendo i giovani di tutta Italia. Infatti, nella Capitale si contrapponevano i Tozzi de Roma, dal termine inglese tough che significa rozzo, anch’essi contraddistinti da un abbigliamento tipico e dal luogo di ritrovo (Piazza Barberini).


Paninari … Così venivano chiamati gli adolescenti che si identificavano in uno stile di vita fondato sull’apparenza e il consumo. In contrapposizione al decennio precedente quella dei paninari è una generazione che si discosta dai movimenti esistenti - dai metallari ai gruppi impegnati attivamente nel mondo della politica di destra o di sinistra - basandosi sul materialismo, sulla ricerca del piacere di vivere senza particolari privazioni, e puntando decisamente sull’apparenza; forma anziché sostanza. Infatti la moda dei paninari anni ’80 prevede capi costosi e rigorosamente griffati: il senso di appartenenza al gruppo, un proprio linguaggio, un tipico modo di vestire, una piazza in cui riunirsi ed uno stile inconfondibile li caratterizzeranno. La parola d’ordine nello stile del paninaro è ostentazione e benessere.

Il termine “paninaro” deriva dal nome del bar Al panino, locale del capoluogo lombardo, in zona San Babila, in cui il primo gruppo di ragazzi nei primi anni ’80 si riuniva frequentemente. In seguito, il punto di ritrovo cambia e diventa il fast food americano Burghy.


Quello dei paninari, in breve tempo, diventa un fenomeno di costume ampliamente diffuso nelle riviste e nei fumetti, al cinema e sul piccolo schermo: dal film Sposerò Simon Le Bon alla parodia del paninaro del comico Enzo Braschi nel programma Drive In, su Canale 5. È del 1986 il curioso brano Paninaro dei Pet Shop Boys… ma i paninari non rinnegheranno mai il loro gruppo musicale di riferimento, ovvero, i Duran Duran con il brano divenuto la loro colonna sonora, Wild Boys.



 Gli autentici paninari, inoltre, non apprezzano la musica cantautorale italiana ma il pop americano e, quanto ai gusti cinematografici, amano Top Gun, Rocky e Rambo.


Lo stile dei paninari era molto riconoscibile. Il dress code per i paninari è rigoroso. Vietato sgarrare. La distinzione tra i marchi cool e quelli out è netta, invalicabile.

A tal proposito, questi ragazzi prendono in considerazione solo certi marchi alla moda, come: Moncler, Henry Lloyd, Best Company, Champion, Carrera, Fiorucci, Levi’s e marchi di calzature come Timberland o Clarcks. Anche se il paninaro rifiuta l’eleganza più classica, apprezza i brand italiani come Emporio Armani, Versace, Trussardi. Tassativo è che il capo in questione sia costoso, con logo in bella mostra e appariscente, possibilmente in colori fluo… perché il «tamarro» con il giubbotto Moncler tarocco lo sgami subito e lo metti ai margini. 

Nello specifico: i giubbotti tipici dei paninari anni 80 erano i bomber, rigorosamente imbottiti, con colori sgargianti. Le marche predilette erano Stone IslandHanry Lioyd o Moncler.

I cappotti erano meno utilizzati.

Spesso il paninaro indossava felpe pesanti e oversize o camicie quadrettate e colorate Naj-Oleari. Le polo solo Lacoste.

Un indumento quasi d’obbligo per distinzione erano i jeans 501 Levi’s; la vita alta e il risvoltino alla caviglia servivano a far intravedere i calzini a rombi Burlington.

Le cinture preferite? Naturalmente El Charro.

Gli accessori che completavano il look erano gli orologi Swatch e gli occhiali Ray Ban (alla Tom Cruise in Top Gun ... ovvio!)

Le paninare anni 80 (squinzie) preferivano i maglioni oversize più che le felpe, amavano gli oggetti vistosi e colorati. Usavano cerchi e fiocchi fra i capelli (tipo Madonna ...), sciarpe e pashmina colorate arrotolate intorno al collo; borse Naj-Oleari o Louis Vuitton erano un must. Oltre alle Timberland utilizzavano molto le Converse, le ballerine colorate, i mocassini.

Guai a dimenticare un accessorio ancora oggi insostituibile e del quale parlerò abbondantemente nel prossimo articolo: lo zaino Invicta Jolly!



I paninari in sostanza sono considerati una sottocultura urbana che preferisce l’apparire invece che l’essere e che si ritrova nelle paninoteche locali con il sottofondo musicale trasmesso da MTV.



Seppur questo modo di porsi sembrerebbe sorpassato credo che continui ad essere molto attuale. Infatti, se azzardassi un identikit del paninaro 2024 questo si districherebbe tra le marche Balenciaga e Gucci, manterrebbe Moncler, Armani e Levi’s, niente MTV ma YouTube, così pure lo smartphone Apple al posto degli orologi Swatch.  I blockbuster americani sono stati sostituiti da Netflix, aggiungi poi zaini Vans, jeans vita alta e scarpe Converse (oggi come allora) et voilà avremmo i nuovi paninari contemporanei in una moda che fa rima con maxi loghi e un ibrido tra streetwear e sportswear. La costante ricerca dell’avanguardia, l’ossessione per l’esclusività e l’ostentazione di un modo d'essere che prende come unico riferimento l’apparire esiste ancora oggi… o sbaglio?!

C’è un’unica fondamentale caratteristica in grado di far svanire tale ipotesi, oltre al coinvolgimento politico molto più pressante, l’isolamento sociale… troppa voglia di comunicare via social che incontrarsi in un luogo di ritrovo e aggregazione solido e stimolante! Ohibò!


Concludo condividendo il documentario che Timberland ha creato per celebrare il cinquantesimo anniversario dell'iconico scarponcino Yellow Boots This is Not a Boot: The Story of an Icon, diretto dal regista neozelandese Tom Gould.

A spiccare nel documentario c'è anche Bircide, uno dei veri paninari anni Ottanta che ancora oggi non ha perso il suo inconfondibile Pan look.

 


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