top of page
Fichi time.

Platoon. Nella locandina, il fascino della morte

Nella foto non compare il protagonista del film Charlie Sheene ma Willem Dafoe che interpreta il coraggioso sergente Elias K.Grodin mentre esala gli ultimi respiri prima di cadere a terra morente. La scena da cui è tratto il fotogramma è a dir poco emozionante.

La brutale guerra del Vietnam dopo aver provocato vittime e distruzione, ha ispirato e dato vita ad una serie di capolavori cinematografici diretti da grandi registi, come ad esempio: Il Cacciatore (1978, M. Cimino), Apocalypse Now (1979, F. F. Coppola), Full Metal Jacket (1987, S. Kubrick) e Platoon (1986, O. Stone).

Questi film, veri e propri Cult Movie, oltre alle tematiche di guerra, vantano sicuramente di avere delle locandine davvero emblematiche.

Ci sono, infatti, alcune locandine di film che sono facili da identificare anche se, per assurdo, non si è mai visto il film ed anche quando vi è solo impressa un’immagine senza che sopra vi sia scritto nulla: né titolo, né attori.

L'immagine della locandina del film Platoon di Oliver Stone racconta un'intera storia in un fotogramma: un soldato sul campo di battaglia erboso della giungla del Vietnam, con le braccia gettate sopra la testa, mentre incontra il suo tragico destino. Sono del parere che l’impatto fotografico-emotivo di questo poster è secondo solo a quello per il film Apocalypse Now.

Nella foto non compare il protagonista del film Charlie Sheene ma Willem Dafoe che interpreta il coraggioso sergente Elias K.Grodin mentre esala gli ultimi respiri prima di cadere a terra morente. La scena da cui è tratto il fotogramma è a dir poco emozionante.

Elias, disarmato, impotente e ricoperto di sangue e sporcizia. Elias, inginocchiato con le braccia rivolte verso il cielo, la testa all’indietro, tutto in questa immagine trasmette una sensazione di sofferenza e supplica verso una forza divina, la sola in grado di porre fine a tutto ciò liberandolo finalmente dall’inferno che lo avvolge.

In secondo piano si intravedono i Vietcong che sparano i colpi mortali alla schiena del povero soldato.

La posa del soldato in questione è ispirata ad una foto di guerra scattata da Art Greenspon quando a 26 anni andò in Vietnam per documentare le azioni di guerra.

'Platoon' è uno sguardo incrollabile agli orrori della guerra.

Nell'aprile del 1968 Greenspon, andando con dei soldati in una missione di pattuglia nella valle di A Shau, assistette a un'imboscata e ad un combattimento in una radura della giungla. Si sdraiò sull'erba e aspettò che finisse. Fu da quella visuale che egli scattò la sua foto più famosa, che racchiude lo shock, l'orrore e il caos di ciò che stava accadendo: «Mentre il primo elicottero si librava sopra di me, ho visto il primo sergente con le braccia in aria» - disse a Time - «Ho visto il medico che si caricava sulle spalle un ferito e poi ho visto il ragazzo di schiena nell'erba. “Devo raccogliere tutto questo in una foto”, ho pensato (…) Scattai la foto. Tre fotogrammi e il momento era svanito».

Due immagini, due similitudini nella posa ma ci sono nette differenze di significato tra le braccia in aria del soldato della foto di Art Greenspon e la citazione di Oliver Stone: nella prima il primo sergente con le mani in aria sta indicando un elicottero di soccorso, nella seconda il povero Elias supplica il cielo, cosciente del suo tragico, inevitabile destino. Ma il rapporto profondo tra le due immagini lo rivela la trama del film: condividere una storia autentica americana su ciò che è stato il Vietnam.

Lo stesso Stone è un veterano della guerra in Vietnam e l’esperienza personale del regista la si percepisce dallo sforzo di replicare questa scena come un tentativo di cambiare l'immagine del soldato americano da aggressore a vittima della guerra del Vietnam sottolineando più volte la tragedia della guerra nelle esperienze e nelle sofferenze delle truppe da combattimento americane.

Tutti i volti nella foto di locandina sono sfuocati e difficilmente distinguibili, quasi come a voler evidenziare maggiormente l’anonimato della persona che si trova a dover combattere delle assurde battaglie. In guerra non si è nessuno, si lotta per sopravvivere. Si diventa disumani. Non importa chi si uccide, si è tutti vittime e carnefici. In tal senso, nel film non si parla solo di fronteggiare i nemici ma anche del confronto violento che si esterna contemporaneamente verso il proprio plotone.

Recita il protagonista del film: «Io ora credo, guardandomi indietro, che non abbiamo combattuto contro il nemico... abbiamo combattuto contro noi stessi. E il nemico era dentro di noi. Per me adesso la guerra è finita, ma sino alla fine dei miei giorni resterà sempre con me. Come sono sicuro che ci resterà Elias, che si è battuto contro Barnes per quello che Rhah ha chiamato: il possesso della mia anima. Qualche volta mi sono sentito come il figlio di quei due padri. Ma sia quel che sia... quelli che tra noi l'hanno scampata, hanno l'obbligo di ricominciare a costruire. Insegnare agli altri ciò che sappiamo e tentare con quel che rimane delle nostre vite di cercare la bontà e un significato in questa esistenza.»

Le due O della scritta Platoon della locandina sono formate da due piastrine. Alla morte dei soldati quei due pezzi di metallo sono l’unica proprietà terrena che rimane e la sola parte d’identità che serve per nominare il ragazzo deceduto durante il conflitto.

In questo caso sono proprio quelle di Elias, che chiuderanno la lettura dell’immagine.


Concludendo:

Il primo piano perfettamente centrato nella composizione fotografica, il verde intenso dell’erba sulla quale è inginocchiato Elias prosegue nel verde delle palme alle sue spalle, il tutto nel contrasto della sua pelle sporca di fango e sangue in perfetta similitudine con lo sporco delle fiamme e dell’orrore che tutto avvolge. E per finire, le due piastrine che in primissimo piano, riportano il nome di chi, in quell’esatto momento, sta cadendo a terra morente. Noi, davanti a tutto ciò, siamo gli stupefatti spettatori del dramma che si sta compiendo. Il resto del racconto che si è appena metabolizzato con la staticità di un’immagine ci verrà ancor più enfatizzato nella sequenza del racconto di Stone. Musiche, rumori e caos faranno il resto, ovvero, renderanno indelebile nella nostra memoria questa immagine, fissandola lì dove un sussulto, anche a distanza di anni, appena ci riapparirà davanti, ci porterà ad esclamare commossi: «Elias!».




コメント


bottom of page