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Fichi time.

Ognuno si veste come gli pare?

«É nell’essenza della moda accumunare tutte le individualità» Georg Simmel.

Il termine “moda” deriva dal latino modus, ovvero, misura sia come quantità che come limite, norma o maniera; così come lo conosciamo attualmente, compare per la prima volta nel trattato Della carrozza da nolo, overo Del vestire, et usanze alla moda dell’Abate Agostino Lampugnani, pubblicato nel 1645.

Questo termine però è anche la diretta traduzione del francese mode, vocabolo apparso per la prima volta nel 1482 per indicare uno specifico tipo d’abbigliamento. Termine da non confondere con costume che, nel Cinquecento si usava per indicare un modo di vestire, ovvero, la stratificazione consolidata degli usi e delle convenzioni, più durevole ed uniforme, lento a mutare. La moda infatti è futile, sempre strettamente collegata col suo tempo ed induce allo spreco, con i suoi mutamenti che si infittiscono da un’alternanza all’altra.


Senza soffermarsi ora sui molteplici significati che caratterizzano questo termine anche e soprattutto da un lato prettamente sociologico dobbiamo ricordarci che, la moda si costituisce come linguaggio autonomo dell’identità culturale e della temporalità dell’uomo quando il piacere del rappresentarsi si è liberato della sua stessa necessità. Parlare di moda, dunque, vuol dire esprimersi sul gusto degli uomini nei loro tempi, parlare di moda vuol dire, insomma, parlare dell’uomo, delle sue ricchezze e delle sue miserie, della sua grandezza e talvolta della sua meschinità.

Uno dei più acuti osservatori laici del sistema della moda del Novecento fu Georg Simmel. Filosofo tedesco, egli basò la sua ricerca dei fenomeni legati agli agglomerati metropolitani dal punto di vista sociologico, ritenendo che tutto si debba tenere all’interno di un disegno strategico complessivo, nel quale, sia le identità che le diversità acquistano dignità e spessore.

Alla domanda “Che cos’è la moda?” Simmel per primo riuscì a dare una risposta convincente nel saggio Die Mode (1911).

Il filosofo tedesco afferma che sono due le condizioni essenziali per la nascita e lo sviluppo della moda, in assenza di una delle quali la moda non può esistere: il bisogno di diversità, ovvero, la tendenza al distinguersi e il bisogno di conformità, ovvero, di appoggio sociale.

Il filosofo scrisse: «L’essenza della moda consiste nell’appartenere sempre e soltanto a una parte del gruppo mentre tutto il gruppo è già avviato verso di essa. Non appena si è completamente diffusa, non appena cioè tutti, senza eccezione, fanno ciò che originariamente facevano solo alcuni […] non la si definisce più moda. Ogni crescita la conduce alla morte perché elimina la diversità».


Nella nostra storia sociale la cultura moderna si riflette nel conflitto tra “conformismo e individualismo, unità e differenziazione”. Simmel sostiene che nella personificazione sociale di questi contrasti un lato di essi è rappresentato dalla tendenza psicologica all’imitazione: del trasferimento della vita di gruppo nella vita individuale.

Nell’imitare, l’individuo si libera dal tormento della scelta facendolo di conseguenza apparire come un prodotto del gruppo, come un recipiente di contenuti sociali. Con l’imitazione il singolo verrà condotto sulla via che tutti percorrono.

Se Simmel affermava che la ragione fondamentale del perché questo fenomeno dell’imitazione accade è che le mode sono sempre mode di classe, oggi non parleremo più di “classi” sociali o differenti civiltà ma piuttosto di stili di vita nei quali le dinamiche non sono cambiate; continua a esistere il bisogno di appoggiarsi ad un modello sociale nonché il bisogno di trovare nel cambiamento il distinguersi dalla generalità.

La moda è il campo specifico degli individui che non sono intimamente indipendenti e che hanno bisogno di un sostegno. Nello stesso tempo, però, chiedono a se stessi distinzione, attenzione, particolarità. Questo procura un sentimento verso se stessi paradossale poiché anche le banalità ripetute da tutti procurano la massima felicità. Ripeterle dà a ognuno la sensazione di dar prova di una particolare intuizione che lo eleva dalla massa.

Chi, invece, si veste consapevolmente fuori moda raggiunge il senso di individualizzazione con il semplice gesto di negazione dell’esempio sociale: se essere alla moda significa imitare questo esempio, non esserlo intenzionalmente significa la stessa imitazione al contrario e contribuisce a testimoniare il potere delle tendenze sociali di renderci dipendenti da sé in modo positivo o negativo.

Rimanendo sul testo di Simmel, la moda: «Fornisce all’uomo uno schema con cui provare in modo inconfutabile il suo legame con la collettività, la sua obbedienza alle norme che gli vengono dal suo tempo, dal suo status, dalla sua ristretta cerchia sociale: in cambio egli ottiene di poter concentrare la libertà concessa dalla vita nella sua interiorità e in ciò che per lui è essenziale».


Con questa lunghissima e dettagliata premessa e concentrandomi sul bisogno di imitazione, di affinità e fusione del singolo individuo vorrei analizzare dei concetti molto interessanti racchiusi in alcune tipiche frasi che sovente sento venir pronunciate a caso, tanto per sembrare esperti tuttologi, sovente da persone che banalmente adottano un’espressione qualsiasi e la applicano in ogni occasione utile.


“Ognuno si veste come gli pare … non tutti seguono le regole”.

Due concetti decisamente opposti ma messi insieme in una medesima frase.. è spiazzante! Ora, già sentirsele dire separatamente è abbastanza inquietante, ma pronunciarle una di seguito all’altra è da avere gli incubi per notti!

Vediamo perché.

Se ti vesti “come ti pare” non segui le regole.

Se segui le regole sei parte della massa, non il contrario! Se solo indossi una serie di capi prét-à-porter abbinati come la maggior parte delle persone che ti circondano … segui le regole, altroché! Come ci arrivano capi ed accessori nei negozi multi e mono marca, fatemi capire?! Chi li sceglie?! Io sono una sognatrice e spero sempre nell’unicità di gusto del proprietario del punto vendita, ma la realtà è ben diversa: stessi identici capi distribuiti in diversi negozi con prezzi e loghi diversi … ma sempre la stessa pappa è!

“Le regole” … Le regole sotto forma di tendenze vengono sottilmente imposte alle masse in tutti i campi, dal cibo al taglio di capelli. La massa sovente segue le regole!! Il gusto viene indotto. Chi, al contrario, non segue le leggi di mercato e di gusto della massa fa sostanzialmente quello che gli pare, naviga contro corrente? Non del tutto ( la tendenza psicologica all’imitazione a tratti persiste ...). Sicuramente non seguirà le regole che la massa segue alla lettera e certamente non acquisterà mai quella scarpa, non si taglierà i capelli in quella maniera, non penserà minimamente ad uniformarsi al gruppo, ne è coscientemente tagliato fuori! Esprime se stesso o almeno ci prova; si reinventa uno stile del tutto personale, senza sforzo alcuno perché, tramite gli indumenti, esterna il proprio io interiore e questo lo appaga. A volte è un “finto-spontaneo”?! Ma che importa!

Uno degli esempi, in tal senso, è dato dal personaggio di Drugo nel film Il Grande Lebowski: The Dude è un eccesso portato all’estremo, ma è così intrigante!

Quindi, “Ognuno si veste come gli pare”

La cosa curiosa è che mi guardo attorno, ogni volta, alla ricerca di questo “ognuno”.. mi piacerebbe davvero tanto conoscere questo mitico Signor Ognuno perché a forza di sentirlo nominare mi è entrato in simpatia e siccome a quanto pare lui “si veste come gli pare..” caspita se vorrei conoscerlo! Ma nulla! Incontro, sovente, gli opposti del Signor Ognuno, ovvero, i cugini “nessuno” che con sfrontatezza e dall’alto del proprio “non essere proprio parente di Ognuno ma solo speranzosi ammiratori” continuano a utilizzare frasi fatte tanto per sparare intenzionalmente concetti alla rinfusa.

Infine: “tu non vesti bene”.

In base a cosa viene fatta questa affermazione? Quali sono i parametri del “vestire bene”? Non vestire alla “maniera di” oppure non essere conforme al gusto di chi afferma ciò?

Per dire a qualcuno “tu non vesti bene” si dovrebbe come minimo scavare nei parametri personali del concetto di imitazione (già spiegato) e di stile. Saper distinguere il buon gusto dal cattivo gusto poi, è alla base. Gillo Dorfles lo chiama Kitsch.

Inoltre, è stato valutato attentamente se il malcapitato al quale è rivolta tale affermazione è: fuori moda, sciatto, dozzinale e totalmente fuori luogo nella scelta dell’abbigliamento perché non si è posto minimamente il problema delle occasioni d’uso?! Perché se così non è, non vedo come ci si possa permettere di dire “tu non vesti bene!”.


Concludo racchiudendo tutto questo lunghissimo discorso in un frame del film Il diavolo veste Prada, sempre valido. Sperando sempre che nella cesta delle occasioni, qualcuno ci possa trovare oltre ad un maglioncino infeltrito color ceruleo del quale ignora origine e occasione d’uso, anche il Signor Ognuno così magari ne potrà finalmente approfittare per farsi insegnare …. l’ABC?!


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