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Fichi time.

Etichetta monumentale

Cosa accade se invece di una t-shirt ad essere etichettata da un marchio è una città? Già! Una città intera con tutto ciò che rappresenta?

Si etichettano T-shirts, si etichettano jeans, si etichettano scarpe, si etichetta ogni tipo di prodotto. La marca appaga, crea uno status ed un vero e proprio stile di vita. Autostima ed assuefazione, una linfa vitale per il nostro “io” esibizionista ma anche garanzia di autenticità, bellezza, creatività. Cosa accade se invece di una t-shirt ad essere etichettata da un marchio è una città? Già! Una città intera con tutto ciò che rappresenta? Sviluppando questa ipotesi nel campo dell’arte vi è una installazione che porta la mia firma in grado di approfondire il concetto e provare a rispondere a questa domanda. Alghero, novembre 2011, un logo “Armani jeans” riprodotto fedelmente, ma nella grandezza di 260x78 cm., contro i pochi centimetri dell’originale, viene posizionato legato ad uno dei due cancelli delle porte d’ingresso ricavate dalle mura di cinta della città. Quindi vi è: una porta d’ingresso che riporta il marchio “Armani jeans”, ben visibile anche da lontano e, un’altra entrata adiacente sgombra da ogni intromissione che permette un altro accesso alla città. L’intervento è quello di “etichettare” simbolicamente con un logo una città intera, in questo caso Alghero. Lo scopo è, invece, quello di dimostrare quanto un’etichetta commerciale può significare nel processo del dare un’identità forte, decisa. Non importa a che cosa si dia, se ad un oggetto o a qualcos’altro. Dal momento in cui si mette una firma (un marchio) su qualcosa, questa ne diventa un’altra cosa: ne cambiamo l’identità, appunto. Se parliamo di un capo di moda, ad esempio, un maglione fatto a mano con ferri da maglia, possiamo pensare al racconto fatto di tante ore di lavoro, alla ricerca del modello da realizzare, al tanto impegno ed imprevisti per eseguirlo: insomma, racconta la storia della persona che l’ha realizzato, della sua personale esperienza e del maglione stesso che la comunica. Se a quello stesso maglione viene cucita al collo un’etichetta (simile a quella posta nell’installazione di cui si parla), automaticamente, ne riscrive il racconto soppiantando di colpo la storia iniziale che ci legava a lui e sostituendola immediatamente con un’altra totalmente diversa e priva di quel significato curioso, personale e romantico, unico, che lo aveva caratterizzato fino al cartoncino “prepotente” ed incisivo che gli penzolerà ora dal collo. Amplificando il gesto, simbolico ma destabilizzante, non più a un maglione ma a una città, il risultato è: mettere un’etichetta, includere cioè un logo di fianco al nome della città di Alghero (città storica “per eccellenza”) può voler dire riscriverne la storia, con diverse motivazioni e priva di quell’affetto emozionale unico che l’ha caratterizzata fino a quel momento, fino a quel gesto. È sempre Alghero, certamente, ma è anche un'altra cosa. É quell’altra cosa fatta di consumismo, serialità, uniformità che può esaltarla o soppiantarla. Può spaesare o rafforzare il “nuovo” legame: può tante cose. Ma c’è sempre una scelta: da quale delle due porte decido di entrare?

(Patrizia Gaboardi, Etichettare, installazione (stoffa), Alghero 2011)



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