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Fichi time.

Joan Miró ed il suo desiderio di assassinare la pittura

Il suo atteggiamento nei confronti delle tele divenne la realizzazione del suo desiderio di assassinare la pittura - senza sconti – affinché, da tale presupposto, nascesse un’arte nuova e delle nuove forme.

Joan Miró - nato a Barcellona nel 1893 - è uno degli artisti spagnoli più noti ed apprezzati dal pubblico del Ventesimo secolo. Considerato un artista Surrealista ed un precursore dell’ Espressionismo Astratto, la costante della sua vita è la ribellione contro certi aspetti dell’esistenza nonché contro se stesso. Joan Miró iniziò da giovane ribellandosi a suo padre, alla guerra, poi contro la mediocrità ed infine contro un certo tipo di pittura.

Il Miró poetico degli anni Venti, Quaranta e Cinquanta fece posto alla produzione artistica più creativa del Miró degli anni Settanta.

Lo scopo di Miró, fin dall’inizio, fu quello di annullare tutto il pre-esistente della pittura. Quindi, tramite il mezzo espressivo artistico, egli mise in atto concretamente questo obiettivo fino a quando, ormai anziano, aggredì con violenza, il proprio universo pittorico.

Miró, così facendo, stava ricostruendo la sua creatività distruggendo il classico: il suo classico, le sue forme.

Il suo atteggiamento nei confronti delle tele divenne la realizzazione del suo desiderio di assassinare la pittura - senza sconti – affinché, da tale presupposto, nascesse un’arte nuova e delle nuove forme.

Tutto il precedente è storia per l’artista spagnolo, una storia infedele alla libertà. Tutto, però, è servito affinché Miró, attraverso un lento cammino, arrivasse semplicemente a vedere: a vedere il vuoto, a vedere l’energia di una macchia di colore, a vedere il nulla che acquista un nome. I segni soppiantano le forme. I colori sono gettati e non più sistemati secondo un preciso disegno.

Inoltre, Miró, utilizza nuovi supporti, come carta da macero e chiodi arrugginiti, con i quali stabilisce una complicità. Rifiuti definiti volgari supporti da molti ma stimolo di creatività ed alta ispirazione per l’artista.

Lascio alle parole di Joan Miró il compito di spiegare la sua poetica.

Il brano è tratto da Je travaille comme un jardinier pubblicato in XX siècle nel 1959. Da questo estratto, in cui l’artista spiega la sua ricerca ed il suo trascorso, si percepisce il cambiamento che da lì in poi rivoluzionerà tutta la sua produzione artistica: «Se c’è qualcosa di divertente nei miei dipinti, è qualcosa che io non ho cercato consapevolmente. Questo umorismo viene forse dalla necessità di sfuggire al lato tragico del mio temperamento. È una reazione, ma una reazione volontaria. La cosa che in me è volontaria è la tensione mentale.

[…] L’atmosfera che favorisce questa tensione è qualcosa che trovo nella poesia, nella musica, nell’architettura.

Lo spettacolo del cielo mi sopraffà. Sono sopraffatto quando vedo la luna crescente o il sole in un cielo immenso. Nei miei quadri si trovano spesso forme minuscole in spazi vuoti. Spazi vuoti, orizzonti vuoti, pianure vuote: ogni cosa che è stata spogliata fino a che fosse del tutto nuda mi ha sempre procurato una forte impressione. […]

Le cose semplici mi danno delle idee.

[…] L’immobilità mi colpisce. Questa bottiglia, questo bicchiere, una grossa pietra su una spiaggia deserta, queste sono cose immobili, ma scatenano un movimento tremendo nel mio animo. […] Nella mia pittura c’è una specie di sistema circolatorio. Se anche una sola forma è fuori posto, la circolazione si interrompe; l’equilibrio è spezzato. Quando un quadro non mi soddisfa, mi sento fisicamente a disagio, come se il mio cuore non stesse lavorando come si deve, non riuscissi più a respirare, stessi soffocando.

Lavoro in uno stato di passione e di eccitamento. Quando inizio a dipingere obbedisco a un impulso fisico, a un’esigenza di iniziare. È come ricevere uno shock fisico.

[…] Lavoro come un giardiniere o un vignaiolo. Ogni cosa ha bisogno di tempo. Le cose seguono il loro corso naturale. Esse crescono, maturano. […] Le cose maturano nel mio animo. Inoltre, lavoro sempre a un gran numero di cose contemporaneamente. E anche in campi differenti: pittura, acquaforte, litografia, scultura, ceramica. […] Mi piace il surrealismo perché i surrealisti non considerano la pittura come un fine in se stesso. Non ci si deve preoccupare se un quadro durerà, ma se ha piantato semi che daranno vita ad altre cose».




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